31/12/2014 03:09
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Il 2014 si conclude per la Repubblica Centrafricana con un bilancio in
chiaro-scuro. Alle speranze seguite all’elezione di Catherine Samba Panza a
presidente delle Repubblica e all’invio della missione internazionale
incaricata del disarmo delle forze in conflitto, è seguito un graduale processo
di disillusione da parte della popolazione. La situazione nel Paese è
disomogenea, con ampie aree fuori dal controllo del governo centrale e senza
che l’operazione disarmo sia andata effettivamente in porto. La criminalità e
le azioni violente si moltiplicano, mentre la gente cerca di sopravvivere come
può, in una quotidianità segnata dall’incertezza. In tale quadro si pongono le
istanze religiose, utilizzate spesso dalle parti in conflitto per fomentare odi
ingiustificati.
Sulla situazione nel Paese riferisce suor Elianna
Baldi, missionaria comboniana della diocesi di Vicenza, in Repubblica
Centrafricana da tre anni, raggiunta telefonicamente a Bangui da
Lucas
Duran:
R. – Io vorrei farmi portavoce del sentimento diffuso tra la popolazione e
anche tra noi missionari di un fallimento sostanziale, di una grande delusione.
La grande attesa, infatti, era quella di un disarmo che potesse creare
le premesse della pace. In realtà, il disarmo non c’è stato e
dappertutto ci sono ancora armi di ogni genere. Pensate che ci sono
ragazzini che girano con le granate. La situazione è proprio
quella di un Paese che vive nella precarietà. Ma mentre a Bangui la vita sembra
riprendere, il Paese si potrebbe definire diviso:
una parte a nord,
nordest, è tuttora sotto il controllo dei Seleka ed è molto difficile
entrare, lo Stato è completamente assente. In altre zone, c’è il banditismo dei
gruppi ribelli, quindi gli spostamenti sono molto difficili. Vi sono zone,
tuttora, che soffrono molto, che sono abbandonate. Il Paese in generale è
ancora nella precarietà e nel dubbio abbastanza forte riguardo al futuro. I
salari sono pagati col contagocce. Il costo della vita è aumentato tantissimo
nei beni di prima necessità e
figura ancora una grande crisi alimentare.
La vita per la gente è difficile: negli ospedali c’è spesso rottura degli stock
di medicinali. Dati, per me significativi sono il fatto dell’aumento, per
esempio, di tre volte delle patologie psichiatriche, che sono il segnale di una
difficoltà per una certa parte della popolazione più fragile, in conseguenza di
tutte queste uccisioni, di tutta questa spoliazione della popolazione.
Ci
sono ancora decine di migliaia di sfollati, che non possono tornare a
casa, perché non hanno più una casa.
D. – Quali sono i rapporti tra la comunità cristiana, quella musulmana e
altre professioni, che sono rappresentate in Repubblica Centrafricana?
R. – Anche qui la situazione è complessa. Se guardiamo i leader di questi
gruppi religiosi, in particolare la piattaforma religiosa, potremmo dire ci sia
una volontà di dialogo ed uno sforzo in questo senso. Non possiamo dimenticare
i cristiani o i musulmani, che sono stati rigettati dalle loro comunità, per il
loro desiderio di dialogo. Ma se vogliamo essere onesti e guardare il
sentimento più generale della popolazione c’è ancora una difficoltà di
accettazione dell’altro se di una religione diversa, in particolare tra
cristiani e musulmani. La ferita è molto profonda. Si stanno facendo sforzi,
perché si moltiplicano le formazioni sulla coesione sociale, sulla
riconciliazione, ma il cammino è molto lungo.
L’impunità è uno dei
grandi ostacoli che sta anche ritardando questo processo di riconciliazione.
Tutti quelli che hanno fatto del male in un campo o nell’altro restano impuniti
e la giustizia è, comunque, la base della riconciliazione e del perdono.
D. – Voi comunque siete riusciti quest’anno a fare il vostro pellegrinaggio
diocesano annuale…
R. – L’anno scorso, in effetti, quando ci sono stati i massacri si stava
preparando un pellegrinaggio al Santuario mariano a 23 km da Bangui, e quando
gli anti Balaka hanno invaso la città e hanno causato gli scontri tra Seleka e
anti-Balaka ci sono stati dei giovani che sono rimasti bloccati in quella zona
e il pellegrinaggio non è stato fatto. Quest’anno, nonostante molte persone
abbiano avuto paura e alcune non siano venute,
grazie al supporto
militare dell’Onu, che ha reso sicuro il percorso e che è rimasto
presente anche nei giorni del pellegrinaggio, abbiamo potuto riunirci con le
comunità cristiane. E’ stato questo, veramente, un segno di speranza e di volontà
di futuro. Sarebbe stato meglio poterlo fare senza essere scortati, sarebbe
stata la cosa più bella e il segno più forte, ma abbiamo dovuto farlo ancora
una volta scortati. La pace, però, si può raggiungere sicuramente solo
progressivamente. Io vorrei riprendere le parole del Papa di questi giorni, che
mi hanno molto colpito per la nostra situazione, e vorrei che arrivassero al
cuore di ogni responsabile politico e religioso di questo tempo. Il Papa ci
dice che quando l’umanità è consumata e non può andare avanti è allora che la
grazia arriva e la creazione consumata cede il passo alla nuova creazione.
Questa è la mia grande speranza, il mio grande augurio: che una nuova
creazione, anche in Centrafrica, sia realizzabile in poco tempo.